IL METAVERSO QUALE “NUOVA FRONTIERA” DELLA SCIENZA PENALISTICA

IL METAVERSO QUALE “NUOVA FRONTIERA” DELLA SCIENZA PENALISTICA

Avv. Leonardo Lastei

All’inizio del nuovo anno ha fatto il giro del mondo la notizia dello stupro consumato nel Metaverso ai danni di una giovanissima ragazza del Regno Unito; il dibattito che ne è seguito ha aperto diversi percorsi di approfondimento nell’ambito delle c.d. scienze sociali destando, nel contempo, notevole attenzione nell’opinione pubblica.

E’ accaduto che la minorenne abbia incontrato in una stanza dei perfetti sconosciuti adulti, i quali, spacciandosi per coetanei e attivando le funzioni a loro disposizione, hanno “esaminato” il corpo di quella che, a quel punto, è diventata una vittima, osservando le sue parti intime per poi toccarle.

Da questo, che è evidentemente il racconto della parte lesa, è scaturita l’indagine della polizia britannica, verosimilmente destinata ad approdare ad un processo.

Quella stessa esperienza rappresenta al contempo il punto di partenza di un’altra indagine che chiama “a rapporto” le scienze del diritto e della procedura penale, mettendole di fronte ad un duplice interrogativo: 1. è possibile ritenere consumata una violenza sessuale senza che vi sia un contatto fisico? 2. è concretamente percorribile il perseguimento di un reato commesso nel Metaverso?

Come spesso si è verificato in passato, l’elaborazione giurisprudenziale è di fatto intervenuta a sopperire ad una evidente lacuna legislativa derivante dal fatto che, a differenza di quanto ad esempio testualmente previsto per l’art. 612 bis c.p. (atti persecutori), né l’art. 609-bis c.p., né il successivo art. 609-ter c.p., fanno esplicito riferimento all’ipotesi di consumazione del reato mediante strumenti elettronici e/o telematici.

Nel corso dell’ultimo decennio, la portata di tali evidenti carenze letterali è stata in qualche modo contenuta da ripetute pronunzie della Suprema Corte, che già nel 2013, con la sentenza n. 19033 pronunciata dalla Terza Sezione, aveva ritenuto commesso il tentativo di violenza sessuale da parte di colui il quale, tramite minacce, voleva costringere le sue vittime a ricevere fotografie a contenuto esplicito che lo ritraevano e ad inviargliene altre in cambio.

Tale orientamento è stato poi ribadito in pronunce successive, che hanno confermato le condanne nei confronti di soggetti che avevano costretto le vittime a ricevere od inviare materiale pornografico, nonché a subire messaggi allusivi o sessualmente espliciti (Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 17509/2018; Cass. Pen., Sez. III, sentenza n. 25266/2020).

Per tale via appare quindi consolidato il principio per il quale, nella violenza sessuale commessa con strumenti telematici di comunicazione a distanza, la mancanza di contatto fisico tra l'agente e la vittima non è idonea ad escludere la commissione del reato ex art. 609-bis c.p..

Altro e ben più gravoso problema è quello che attiene invece al diritto processuale, affetto da una sorta di congenita ed imbarazzante “balbuzie tecnolegislativa”, ogni volta che viene chiamato a confrontarsi con il mondo digitale.

Se ad esempio volessimo immaginare che la giovane vittima di cui abbiamo parlato fosse di nazionalità italiana e fosse stata virtualmente violentata, o anche “solo” molestata, da un utente del web che si fosse trovato in un paese che non prevede l’estradizione, o dove il suo comportamento non fosse tipizzato come reato – e paradossalmente ne esistono diversi – dovremmo tutti amaramente concludere che quelle condotte rimarrebbero impunite.

Altro problema, ancora afferente alla procedura: come e da chi possono essere raccolte prove utilizzabili in un giudizio nel rispetto delle regole di garanzia di un giusto processo, che in alcuni paesi sappiamo non esistono?

Senza ricordare, poi, che i fatti in questione sono accaduti in un mondo che non esiste e che da ciò non può che derivare l’impossibilità assoluta di individuare potenziali testimoni, in grado di riferire sulle circostanze che hanno portato alla consumazione del reato.

Per il momento le mani chiamate a sbrogliare matasse così intricate sono quelle degli organi di giustizia d’Oltremanica, ma è lecito arguire che prima di quanto si pensi il nostro sistema giudiziario sarà chiamato ad occuparsi di un caso analogo, se non più grave, senza che si sia pensato a predisporre strumenti normativi adeguati a fornire risposte chiare ed efficaci.